domenica 29 ottobre 2017

Pietro Mereu, il regista dell'Italia in via di estinzione

sardegna paesaggio

Mi trovo in Sardegna, precisamente nella regione dell’ Ogliastra, immersa tra l’incanto di acque cristalline e aspri rilievi che sembrano descrivere il carattere del suo popolo, con i suoi contrasti. Mi trovo qui perché attirata dalla realtà sarda raccontata con maestria nei documentari del regista e autore tv ogliastrino, Pietro Mereu


Contatto il regista presentandomi e dichiarandogli che sono lì a ‘causa’ sua. Stupito e lusingato mi concede un’intervista, dicendomi che stava proprio a pochi minuti da dove mi trovavo. Comincia a raccontare della sua famiglia composta da mamma insegnante, papà imprenditore e i suoi tre fratelli, Barbara, Michele e Marcello, i quali riescono a farsi conoscere un po’ in tutto il mondo. Mi racconta di sé, della sua carriera e della sua abilità di descrivere persone e mestieri che via via stanno scomparendo...


Facciamo un gioco…cosa ti fanno venire in mente Barbara, Michele, Marcello e… Pietro?
Barbara, la tenacia; Michele, la serietà; Marcello, l’intraprendenza e io…la fantasia!

E se ti dico Ogliastra?
La casa

In che ambiente sei cresciuto e quali strade ti hanno condotto al mondo del cinema e della tv?
Sono nato a Lanusei e cresciuto in un ambiente fertile per la creatività. Ero un bambino curioso e leggevo tantissimo. Mia madre mi ha spinto sempre ad accrescere la mia fantasia. Il mio maestro, Pippo Calderone, ci iniziò al teatro. L’attitudine dell’attore l’ho sempre avuta, puntando a diventare comico. A 27 anni mi sono trasferito a Milano dove ho fatto scuola di teatro. Dopo qualche anno ho frequentato scuola di cinema e tv e ho cominciato a lavorare nel mondo della produzione. Ho lavorato tre anni con Piero Chiambretti come autore del programma “Markette”. Nel 2007 fui autore di “ Modeland” con Johnathan del Grande Fratello e intanto organizzavo eventi. Nel tempo sono riuscito a costruire un’agenda grossa e nutrita, con la quale ho molte connessioni in Italia e con la quale riesco ad arrivare un po’ ovunque in ambito cinema e tv, ma anche in altri. Sognavo di fare l’attore, poi però mi sono reso conto che stare dietro la telecamera mi piaceva di più.

pietro_mereu_regista
Pietro Mereu


Ti senti più regista, attore o autore?
Mi sento un po’ di tutto. Ho studiato lirica tre anni, quindi mi sento anche tenore. Il talento lo riconosco perché ho conosciuto e fatto tante cose. Il talento si riesce a percepire proprio per esperienza e conoscenza.

La Sardegna è un punto di partenza o di arrivo? 
Beh, direi di partenza…

Non solo Sardegna…Nel documentario “Disoccupato in affitto”, realizzato con Luca Merloni, vesti i panni del disoccupato “uomo-sandwich”. Ti aggiri per nove città italiane, da nord a sud, con un cartellone addosso, alla ricerca di lavoro. Le reazioni delle persone che incontri sono le più disparate ma sempre molto solidali e empatiche. Ho recepito un messaggio da questo documentario che, come forma d’arte, sembra voglia comunicare:” Ricordati che se non trovi lavoro, come ultima spiaggia c’è quella che ti rassicurerà sempre: l’arte.” Dico bene?
Esatto! Erano realmente otto mesi che non lavoravo. Abbiamo cominciato a girarlo nel 2010 ed è uscito nel 2012, arrivando secondo nelle classifiche Coming Soon. Inoltre è stato premiato al Rome Indipent Festival, nel 2011. Ricominciare da lì mi ha dato una energia pazzesca: mi ha fatto credere nuovamente in me e nelle mie attività. Nella vita bisogna sempre mettersi in gioco e non devi avere paura di far vedere chi sei realmente. 
Sapevo comunque che in quel momento non ero più disoccupato. Ero di nuovo, a modo mio, sul palcoscenico. Umanamente è stata un’esperienza pazzesca e commovente, perché tutti in quelle città, chi più chi meno, mi ha mostrato solidarietà. Ancora conservo quel cartello che per me ha una forte simbologia, quasi cristica. Magari un giorno sarà conservato in un museo. C’è chi ancora dopo anni guarda il documentario e mi comunica quanta speranza gli dia ancora.

Dopo il documentario cosa è successo?
Da quel momento la mia notorietà è cresciuta con varie interviste e recensioni, tra tv e giornali. Feci un reportage con Mediaset rientrando negli ambienti tv. Poi da allora ho cominciato a girare i miei documentari con la mia casa di produzione, la Ilex Production, nata nel 2015. Nel 2013 cominciai a girare “Noi non molliamo: facce e storie dell’alluvione”, sull’alluvione di Olbia. Nel 2015 ho cominciato a realizzare “Il Clan dei ricciai” e sempre in quell’anno avevo ideato un programma intitolato “Senza regole”, sul calcio storico fiorentino, per Rai 4. Ho fatto anche un programma per Real Time con Enzo Miccio. Lo scorso inverno ho girato un pilota con l’attrice Norma Vally, intitolato “Artisanal journey with Norma Vally” che ora stiamo provando a venderlo in America, mentre in Italia, a dicembre, sarà trasmesso “I Manager di Dio”, su tv2000.

Girerai un sequel di “Disoccupato in affitto”?
Mi hanno proposto di fare il “disoccupato in affitto” in giro per l’Europa ed effettivamente l’idea è allettante, anche perché lo farei con un’altra consapevolezza. Il problema oggi non è l’occupazione ma è la delocalizzazione proposta dalle aziende che vogliono abbassare i costi del personale e non creano avvenire sicuro per le persone. La situazione è veramente esplosiva e c’è un divario assurdo tra vertici e dipendenti.




Hai la grande capacità di saper trasmettere attraverso i tuoi documentari, toccanti e potenti nell’immagine, l’umiltà e la forza dei sardi, come pure il fascino di quelle attività che stanno scomparendo…
Ti ringrazio. Ne “Il Clan dei ricciai” racconto appunto la storia di questi ex detenuti che si ricostruiscono una vita dopo il carcere, attraverso l’attività del ricciaio. Sia questa attività che quella degli stessi centenari ne “Il Club dei centenari”, intesi come pastori; sia in “Senza regole”, il programma sul calcio fiorentino e lo stesso “Disoccupato in affitto”, dove impersonifico l’uomo-sandwich, raccontano di mestieri che stanno estinguendosi. Lo stesso vale per” Artisanal journey with Norma Vally”, dove metto in risalto l’artigianato italiano che sta man mano scomparendo. Questo è il mio contributo per tramandare alle future generazioni ciò che magari non faranno in tempo a conoscere. É un modo per salvaguardare cose e persone preziose.



Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi numerosi progetti in cantiere?
Ho un progetto che sto sviluppando con una grande casa di produzione. Non posso dire nulla ma… incrocio le dita!


Terminata l’intervista, termina anche il gioco. In verità non mi sono mossa da dove abito e Pietro non si è mosso da Milano. Questo viaggio, fantasioso e virtuale, mostra l’efficacia e la sensibilità che le opere di questo regista trasmettono. Per (far) viaggiare, a volte, bastano creatività e talento.




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Un ultimo saluto a Rosa Secci "Zia Rosina", protagonista ne "Il Club dei Centenari".
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Foto dal set "Il Clan dei Ricciai"

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Foto dal set "I Manager di Dio" che andrà in onda a Dicembre su TV2000
Altra foto dal set de "Il Club dei centenari"



Il "Demonio" di Brunello Rondi


Il regista Brunello Rondi descrisse la figura della masciara ne "Il Demonio", pellicola iniziatrice del genere horror demoniaco italiano

Articolo pubblicato su Il Mattino di Foggia e su Il Roma


Nella cultura lucana, la “maciara”, è la strega, il demone, la fattucchiera ma anche la guaritrice. 
L’antropologo e storico Ernesto de Martino, si occupò a lungo della cultura del Sud Italia e le sue numerose spedizioni in Lucania gli permisero di conoscere più a fondo quel mondo mistico rituale, mostrandone gli aspetti più spaventosi e curiosi. De Martino, non solo si occupò di documentare la realtà di alcune affascinanti credenze del sud vive e attive sino alla metà del ‘900, ma contribuì alla realizzazione dell’ horror-neorealista “Il Demonio”, del 1963, del regista Brunello Rondi.
Rondi, collaboratore di Federico Fellini nella sceneggiatura de “La Dolce Vita” e in “8½” e fratello del celebre critico di cinema Gian Luigi Rondi , non solo è stato uno sceneggiatore e regista coraggioso per un Italia del tempo impregnata di bigottismo, ipocrisia e censura, ma lo fu per mostrare il suo credo attraverso un proprio conflitto, dove il male  e il bene non avevano confine, mescolandosi in nome della salvezza.
“Il Demonio”, racconta il dramma della maciara Purificata, nome che tutto poteva presagire tranne che legami col demonio. I nomi legati alla cultura cristiana erano e sono da sempre in voga al sud, senza che questi proteggano minimamente dal contatto col male e  dalla superstizione. La giovane maciara, infatti, stringe un patto col demonio attraverso una fattura che incateni per sempre a sé il suo amato Antonio (Frank Wolff), il quale di lì a poco avrebbe dovuto sposare un’altra donna.
Purificata, interpretata dall’incantevole e straordinaria attrice Daliah Lavi, che vedremo nello stesso anno recitare nell’horror “La Frusta e il corpo” di Mario Bava, è una donna, una fattucchiera, ed è la protagonista principale che spacca la bruttezza di una civiltà contadina arretrata, sporca e ignorante con l’aspetto di una bellezza quasi ultraterrena, con la sola colpa  di essere innamorata e visionaria. Rondi, tuttavia, andò oltre i confini lucani se si pensa agli attori nella realtà: scelse l’amore tra due attori come la Lavi e Frank Wolff, tra una israeliana e un ebreo, per sottolineare il conflitto religioso e politico che si tradurrà nel sempiterno conflitto tra anima e corpo.
Purif, a causa della fattura lanciata ad Antonio, facendogli bere il suo sangue e dunque incatenandolo a sé, è essa stessa vittima non di fatture ma di fatti : più volte violentata, picchiata, emarginata dagli uomini, sopravvive solo grazie alla natura e con gli spiriti di essa, che sole possono darle conforto, in una umanità che le nega la vita (ma non l’esistenza). Il film è ambientato in un contesto rurale del ‘900. Il verismo verghiano de “La Lupa” si mescola ad un horror dai lineamenti tanto marcati quanto crudi. 
Il bianco e nero utilizzato, il montaggio di Mario Serandei e la fotografia di Carlo Bellero, aumentano quel senso di realtà e orrore che si respirava nelle piccole comunità rurali di un tempo. Tale stile e la location materana saranno di ispirazione per il film “Il Vangelo secondo Matteo” (1964) di Pier Paolo Pasolini.

daliah levi masciara strega
Daliah Levi in una scena del film

Il demonio è Purificata, che assume le sembianze di un essere indifeso al cospetto di un credo religioso mescolato al paganesimo di rituali e credenze scaccia male e malocchi. 
Gli unici che sembrano avere apparente pietà della poveretta sono il prete  esorcista e le suore del convento, ove lei si recherà autonomamente dopo essere fuggita alla lapidazione dei contadini inferociti. 
La Lavi riuscì - e tutt’ora riesce ogni volta - a personificare la  Donna, il  vero mezzo del demonio, in modo struggente. Le scene di violenza sul suo corpo aumentano il senso di agonia e pathos nei confronti della ragazza. Lo spettatore non può altro che sperare possa liberarsi dal male degli uomini e dal male dell’entità che la impossessa. 
La bellezza violata della donna e il fermare il corso naturale del (suo) sentimento, corrispondeva a fermare il corso della natura, ben evidenziato nella scena del rituale scaccia temporale da parte dei contadini. 
Per proteggersi, tutti erano a modo loro ‘masciari’.
É doveroso citare altri due capolavori cinematografici, collegati strettamente al film: “The Exorcist” di William Friedkin (1973), dove verrà ripresa la “camminata a ragno”  della protagonista durante l’esorcismo e “Non si sevizia un Paperino” (1972) di Lucio Fulci, ove la maciara, Florinda Bolkan, ricalca l’estetica di Purif, come ricorda  le violenze subite. Inoltre, Fulci ambienta il film nel contesto rurale di una Lucania arretrata e riprende il personaggio dello zio guaritore: lo zio Francesco legato alla Maciara-Bolkan e lo zio Giuseppe, personaggio realmente esistito, documentato e pubblicato da De Martino in “Sud e Magia” (1959), il quale violenterà Purif, dopo averle praticato riti scaccia demonio. 
Da considerare, inoltre, che nello stesso anno uscì “il Diavolo” di Gian Luigi Polidoro, la commedia con protagonista Alberto Sordi.
Tante le tematiche affrontate da Rondi: dall’ignoranza contadina che sconfigge il male con altro male e scaglia pietre, perché sa di aver peccato; la bellezza (dell’attrice), mediterranea, esile e sporca, che si trasforma durante l’esorcismo in una creatura terribile ma non mostruosa, attraente nel suo essere indifesa; la questione dei manicomi, ovvero dove non arriva a rinchiudere la religione, vi arriva la scienza, ribaltando il concetto del “se non riesco a curarti con le medicine, ti curo con la religione, dato che non v’è spiegazione”. Anche il potere dell’amore si ribalta: se nelle favole a lieto fine l’uomo risveglia la propria donna amata con un bacio e con l’amore, qui l’inganno dei “giusti” si fa carne e sangue: Antonio, dopo essersi premurato di purificare - non a caso - l’aria con il fuoco, per scacciare le streghe, come si fa per allontanare le bestie, incontra Purif per strada. Lei perdutamente innamorata, cede allo sguardo dell’uomo e dopo l’amore, egli la uccide, così togliendo per sempre il suo maleficio e l’incombenza di essere lui il vero traditore della moglie. 

Rondi, nonostante questa visione protettrice e pietosa nei confronti della donna, non vuole essere paladino di un certo femminismo, anche in forza del fatto che questo film diede il via alla sua carriera nell’exploitation. In questo caso specifico, “Il Demonio" vuole essere una lungimirante panoramica sugli isterismi, sacrifici e lapidazioni di massa nei confronti dell’incomprensibile e del non accettabile e, la donna, ne è l’involucro magnetico.

sabato 28 ottobre 2017

“Dracula di Bram Stoker”: l’uomo-vampiro che scelse Francis Ford Coppola


Da un articolo pubblicato su Il Mattino di Foggia

Un viaggio culturale nella figura del Conte più famoso di tutti i tempi e nell’opera di uno dei più grandi registi della storia del cinema.


Dalle origini del vampirismo nel cinema, passando attraverso ricerche storiche che testimoniano la reale presenza del Conte Dracula nel nostro paese, l’artista e scenografo lucano, Gaetano Russo, cugino di  Francis Ford Coppola spiega, con un’analisi approfondita, il fenomeno dei vampiri e del Dracula di Coppola.

Raccontare la storia del vovoida Vlad Tepes, meglio conosciuto artisticamente come Conte Dracula, è affascinante, quanto pauroso.  La prima testimonianza che abbiamo del 'Conte' e della sua storia, la si trova nel romanzo Dracula, di Bram Stoker, ove Vlad fu fonte di ispirazione allo scrittore. Tale romanzo ed il suo protagonista principale, sono stati utilizzati in molti film, creando un vero e proprio fenomeno: dall’epoca del muto, sino ad arrivare all’epoca contemporanea, dove riemerge potente e ossessiva la figura del vampiro, iperproducendo lungometraggi e sere tv di vampiri moderni. Se i primi film sul vampirismo erano incentrati sulla figura femminile, adescatrice e demone (vedi articolo su Bob Vignola), nel tempo ci si è concentrati sull’uomo vampiro, esaltandone, nella maggior parte dei casi, gli aspetti bestiali e fisici e così creando nell’immaginario collettivo il mostro che, con un morso, possiede la sua preda per l’eternità.
Ma il Dracula cinematografico più famoso, che ha cambiato i connotati così unicamente malefici del conte, umanizzandolo, modernizzandolo e facendo emergere debolezze e fragilità umane, è quello del grande Francis Ford Coppola, del 1992.
L’opera di Coppola, come tutte le sue opere, sono impregnate di filosofia e ricerca meticolosa antropologica, unite a una capacità creativa unica. Prima di entrare nel cuore di questo conte, prima di impalarlo a causa di nostre paure e pregiudizi, occorre capire meglio quale sia la  vera necessita di divulgare e aver divulgato la figura del Vampiro, sin dalle origini del cinema. Ricordando i più famosi vampiri, quali lo spaventoso Conte Orlock  in Nosferatu (1922) e  Dracula (1931) interpretati rispettivamente da Max Schreck e Bela Lugosi, arriveremo alla favolosa interpretazione di Gary Oldman, che attraverso una grande prova attoriale, rappresenta l’Uomo che si consacra a Cristo e che a causa della perdita della moglie e di una promessa non mantenuta da parte di chi doveva proteggere il suo amore, perderà tutto, anche il suo credo, esaltandone gli aspetti più fragili.


francis ford coppola dracula


Perché, dunque, nasce la necessità di divulgare la figura del Vampiro tra il pubblico, sin dalle origini del cinema? 
Credo sia un fatto antropologico” dice Russo, “che culturalmente diventa la trasfigurazione dell’uomo in animale, come avviene nelle maschere antropomorfe. Ad esempio i Mammuthones e le maschere di Tricarico  sono trasfigurazione della necessità, a mio giudizio, di porre in qualche maniera lo stato di fragilità e la necessità di trarre linfa vitale dall’oscurità, che è minacciosa, quanto magnetica. Il vampirismo è sempre stato associato al pipistrello che vediamo nel grande Murnau e nell’espressionismo tedesco, quindi nella trasformazione da uomo ad animale e viceversa. L’ombra che viene fatta risaltare nel Dracula di Coppola, presenta e precede il conte, ed è un’ associazione della nostra anima che in qualche maniera è vittima di un’entità malefica che ci succhia energia, quindi preleva, ci dissangua: il sangue e vita. É una questione intima dell’uomo e irrisolta. Dunque scattano le trasformazioni di Dracula in nebbia, notte, lupi ed altri elementi naturali che vanno oltre il pipistrello. Quando si parla di figure antropomorfe si parla di figure religiose, come Vlad che si affida a Cristo. 

Da questa interessante osservazione, si può anche azzardare a dedurre il vampiro come l’uomo che si sostituisce a Dio.
Tutta l’opera di Coppola, drammaticamente romantica e passionale, prende spunto dalla storia del conte ma la colloca in un vortice filosofico e sociologico, nonché cinefilo, grazie alle numerose citazioni di altri film importanti e una creatività unica, che trasformano e rivoluzionano la figura di esso, umanizzandolo, inserendo alcune raffinatezze che traducono questo film in una dedica totale al cinema della nuova era sui vampiri: non a caso è stata fatta combaciare la data 1896, anno dei Lumiére, in cui vedremo Dracula trasformato in un giovane principe, alla ricerca del suo amore perduto e reincarnato in Mina. Tra le raffinatezze del film spicca appunto la scena del cinema, come luogo. 
Quando Dracula si trova all’interno del cinema con Mina (Winona Ryder), si capisce l’operazione di Coppola nel voler esaltare il cinema e la figura di Dracula stesso, divenuto ormai oggetto commerciale e un mito confuso. Non a caso la scena che ne seguirà sarà di pura passione e amore tra i due, ovvero ciò che lo schermo del cinema proietta nella nostra mente e cosa scaturisce. Dracula però si trattiene nel voler trasformare lei in un mostro, mordendola, poiché è un uomo innamorato, seppur di una reincarnazione.
In sostanza Dracula, trasformato in un giovane, si affida alla carne per trovare l’anima e l’anima è l’ombra che Dracula non ha quasi mai proporzionato a sé. L’amore è l’energia che potrebbe salvarlo e il cinema rappresenta la volontà dell’uomo di riappropriarsi dell’amore (per il cinema e per la donna), nonostante sia  immagine.

Un altro aspetto che si tralascia nelle opere di Coppola e in particolare nel Dracula, è quello sociale. Durante una scena Mina , riflette sul comportamento di Lucy, la quale è abituata a dire sempre quello che pensa a voce alta, dote tipica  dell’aristocrazia e della nobiltà. Infatti, spiega Russo: 
Coppola inserisce implicitamente anche in altre sue opere, come ad esempio nel Padrino, la questione ‘aristocrazia e nobiltà’. É l’elemento che in Dracula scivola sottile, infatti lui è immerso nella società ed è un nobile. Non a caso lui compra case e quartieri e l’approccio con il giovane  agente immobiliare Harker (Keanu Reeves), è qualcosa di estremamente moderno. C’è sempre questa attenzione nella società per quanto riguarda la equità economica, comportamentale che risaltano le nostre fragilità. Posso dire di conoscere molto bene Coppola e so che ama approfondire alcuni aspetti legati al funzionamento dell’uomo, lo mette al centro del mondo. Nel film “Un sogno lungo un giorno” , anticipava tutte le tecnologie odierne. Coppola è un amante della filosofia, un ricercatore profondo dell’uomo e delle sue debolezze, anticipandone e determinandone i passi.



Ma è l’aspetto della ricerca estetica, del luogo e del tempo che domina  il nostro occhio. 
L’ambiente  trae ispirazioni dal surrealismo e da paesaggi di epoca romantica, rossastri, che preannunciano il colore dell’amore, della passione, del sangue e degli inferi. 
Il tempo che fonde passato e presente, senza confonderli: si fondono epoche ed  attori di nuova generazione, per l’epoca, come la Ryder e Reeves e di vecchia generazione, come Hopkins e Oldman.
La scienza, a braccetto con la  la religione, personificata da Hopkins che, in veste del ricercatore Van Helsing, cerca la soluzione per far cessare quel terribile “morbo” che si impossessa delle persone.


E nella realtà, nel frattempo, cosa è successo in tutti questi secoli, al Conte? 
Secondo quanto riportano le interessanti ricerche dello studioso Raffaello Glinni, Vlad sarebbe morto di… vecchiaia, a Napoli! Il nobile avrebbe lasciato in eredità molti figli illegittimi, tra cui Maria Balsa, la quale riscattò la figura del padre e lo trasse in salvo, portandolo a Napoli. Maria Balsa si sposò con un nobile napoletano e si presume abbia avuto dei nipoti, o più semplicemente lo si spera. 
Già due anni fa, Glinni, aveva scoperto nella chiesa di Acerenza, vicino a Potenza, una serie di opere d’arte, realizzate da alcuni artisti su richiesta della famiglia nobile Balsa-Ferillo. Nella chiesa sarebbe raffigurato il blasone di famiglia della presunta figlia di Dracula, rappresentato da un drago, un ritratto di Maria Balsa, raffigurata come una santa che schiaccia sotto il piede un drago inferocito e persino un possibile ritratto del padre, il principe Vlad III.  Nella chiesa di Acerenza c’è anche il ritratto di Sant’Andrea, il protettore della Romania.

Poiché ho avuto l’onore e il piacere di intervistare Gaetano Russo, per approfondire la figura dei vampiri e dell’opera di Coppola, gli pongo due quesiti relativi. Russo è molto sensibile e attento a queste tematiche, realizzando anche uno spettacolo teatrale. 
Alla mia domanda su una possibile collaborazione col cugino Coppola per un film su Maria Balsa e alla mia domanda su una possibile presenza reale dei vampiri fra noi, le risposte sono state eccitanti quanto inquietanti, esattamente come Dracula. 
E io, morsa dall’eleganza e dalla nobiltà delle delle sue dichiarazioni, non posso che sedurvi, lasciandovi al mistero…

Per la versione inglese dell'articolo, clicca QUI


venerdì 27 ottobre 2017

Ironia, irriverenza e romanticismo: l’arte del maestro Gaetano Cappelli



Articolo pubblicato su Il Mattino di Foggia


Gaetano Cappelli, scrittore lucano di fama nazionale, spiega come e quanto il romanzo influenzi ancora le nostre vite e qualche anteprima su prossimi progetti. Con l’ultima opera definita ‘mozartiana’, dalle sfumature un po’ amare e dissacranti, intitolata “Una medium, due bovary e il mistero di Bocca di Lupo”, Cappelli regala un’altra volta momenti di leggerezza, ironia e coinvolgimento, da gustarsi come un ottimo Aglianico.

Per descrivere Gaetano Cappelli basterebbero i suoi romanzi. Tuttavia, non è mai sufficiente fermarsi alle opere per descrivere l’autore. Lo abbiamo intervistato per approfondire la sua sensibilità e i percorsi che lo hanno decretato come uno dei romanzieri contemporanei più brillanti, capaci di risucchiare il lettore in un vortice di vicende, personaggi e paesaggi. 
Cappelli ha alle spalle ben diciassette romanzi che, dal 1988 ad oggi, hanno accompagnato i nostri momenti di relax e piacere con uno stile fresco, dinamico ed un linguaggio avvolgente e originale. Nonostante la società sia cambiata molto rispetto a trent'anni fa, è curioso come lo scrittore sia cresciuto nel tempo, incontrando talvolta ostacoli e richieste di un pubblico sempre più esigente e differente. Le vite frenetiche e piene, fortunatamente, non hanno mai fermato la lettura. Oggi, la pesantezza fisica dei libri è sostituita da leggerissimi e impercettibili megabyte da scaricare su un qualsiasi computer, tablet o smartphone. Al massimo, appesantiscono memorie digitali ma non più scaffali o borse. Il mondo è cambiato ma la passione per la lettura non si ferma. E nemmeno scrivere romanzi. 

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Gaetano Cappelli

É curioso capire, relativamente al pubblico lettore di oggi, quanto un genere letterario così classico sia ancora in voga, ovvero quanto bisogno ci sia per l’ormai ‘lettore-utente’, di immergersi in altre vite, visto che internet ha dato ampio spazio per potersi creare altre identità e inventarsi altre vite, oltre quella reale. 
A tal proposito, Cappelli risponde: 
Il bisogno di storie penso sia innato. Fa parte di uno di quei bisogni primari dell’uomo, senza retorica. Dalla preistoria, il narratore era il signore sempre presente nelle tribù dell’epoca. Era uno che raccontava. Era quello che Stevenson chiama “tusitala”, ovvero colui che racconta le storie. Le storie possono essere veicolate attraverso varie forme. Oggi una delle  forme più à la page, è quella delle serie tv. Però, penso che il romanzo avrà una vita lunga quanto la vita dell’umanità. Non so esattamente l'umanità quanta vita potrà avere e quale o quanto destino  avremo come umani ma la storia si accompagnerà per sempre alla lettura di storie. La lettura è un medium molto diverso dagli altri, poiché ci mette in contatto con la parte più intima e profonda di noi stessi.
Questo fenomeno penso sia assolutamente inestirpabile.

Detto ciò, occorre affrontare un argomento fondamentale per uno scrittore, ovvero l’ispirazione. Gabriel Garcia Marquez diceva che “L’ispirazione non dà preavvisi”. E’ qualcosa che arriva all’improvviso, da uno stimolo, un pensiero, qualsiasi cosa in quel momento colpisca la nostra attenzione. 

In una società come la nostra, siamo costantemente stimolati da qualcosa, soprattutto nelle grandi città. Accade, tuttavia, che nella quiete di un posto non molto conosciuto come Minervino Murge, in Puglia, qualcosa accenda la miccia per poter scrivere un romanzo e dare inizio alle danze fantasiose che comporranno un’opera. Cappelli illumina la mia riflessione con precisazioni riguardo all’Ispirazione e alla creatività.
Diciamo che la fantasia fa parte del bagaglio di ogni scrittore, o meglio, è un attrezzo di lavoro dello scrittore.  Dice Cappelli. 
Alla domanda da cosa  io venga ispirato, potrei dare tante risposte… Nel caso dell’ultimo libro, è corretto dire che sono stato ispirato da una commissione di lavoro. Un paio di anni fa i proprietari della tenuta Bocca di Lupo, a Minervino Murge, mi chiesero un racconto che avrebbero voluto regalare ai loro clienti e così lì mi recai. Il loro vino già lo conoscevo, ovvero l’Aglianico. Tant’è vero che compare già  nel mio romanzo ‘Storia controversa dell'inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo”’ (Marsilio, 2010). Mi è stato chiesto questo racconto. In effetti ho faticato a capire cosa dovevo raccontare, ma grazie a internet ho potuto con immediatezza fare ricerche per avere la giusta ispirazione. La storia di Eusapia Palladino l’ho proprio trovata su internet e da lì ho approfondito, sino a scrivere questo romanzo. Grazie a internet tutto è immediato. Una volta era più difficile fare ricerche fisiche con i libri. Lei è stata il motore del racconto ed ho scelto come ambientazione il luogo poco conosciuto di Minervino, inserendovi il personaggio di Guido Galliano, già presente nei miei romanzi. Una mia caratteristica è quella di far comparire nel titolo quello che si racconta nel romanzo. Diciamo che anticipo quello di cui parlo, svelando al lettore le tematiche o i personaggi principali.

Ciò che più colpisce nei romanzi dello scrittore è l’uso e la padronanza  della lingua italiana e del dialetto. L’operazione preziosa di Cappelli è quella di unire saggiamente i colori di un dialetto spesso inventato, al più abbacinante splendore di un linguaggio romantico e ricercato. C’è un segreto per saper collocare così bene un suono e l'autore ci svela qualcosa al merito, rispondendo: Spesso uso dialetti inventati. Nel caso dell’ultimo romanzo, invece no. Uno è il cerignolano, che ho studiato, mentre l’altro è mezzo inventato. Mi piace variare la lingua e inventarla. Mi piace ci siano sonorità arcaiche mischiate con linguaggio moderno. Una sorta di dialetto contemporaneo. Nella lingua che noi parliamo, spesso ci sono delle affettazioni linguistiche, nel senso che ci innamoriamo di dialettiche che non per forza appartengono alla nostra cultura. La lingua essendo un organismo in evoluzione, si arricchisce di caratteristiche diverse. 

La lingua italiana è ricca, ci si può giocare ed è naturale che accada questa operazione linguistica.”
Cappelli è uno studioso di Romanticismo Tedesco, oltre che del suono e del linguaggio. La sensibilità romantica per ciò che lo circonda, lascia traccia della sua passione anche in questo romanzo più ironico e irriverente. Questa componente Cappelli la definisce “vedutista”.
Mi sono auto definito un vedutista, dunque è corretto quello che dici ed è collegato in qualche modo al Romanticismo, dato che ne sono anche studioso e appassionato. Nel mio romanzo “Parenti Lontani”(Marsilio, 2011), il vedutismo è portato all'ennesima potenza.  Il punto di vista sul mondo quindi è molto vicino al romanticismo di cui parlavi tu. In questo periodo ho iniziato a scrivere qualcosa collegato alla tradizione classica delle commedie. Attraverso le mie storie, racconto un po’ la realtà che viviamo, mettendo un pizzico di sogno. Se i giornalisti scrivono la realtà pura, lo scrittore deve condurci in una strada ideale, attraverso un’ altra realtà. Il Romantico vero e proprio è quello che noi normalmente definiamo un sognatore. Alla parola romantico in qualche modo è abbinato un significato non proprio positivo. Diciamo che il carattere odierno del sognatore è qualcosa che si avvicina al tipo psicologico dell’umanità. Senza il romantico o il sognatore, probabilmente anche le scoperte scientifiche non ci sarebbero state. Se tu non hai la spinta romantica, la passione e il sogno di andare oltre il quotidiano, certe scoperte non si sarebbero mai fatte

Un tema ricorrente nei romanzi di Cappelli è quello della rivalsa, dello stravolgimento di carriere, del mondo dell’Arte, di donne e magia. Fa pensare ci sia una sorta di filo conduttore nel tempo e tra le varie vicende e personaggi. Su questa riflessione, risponde:
No, non c’è esattamente un filo conduttore. Io mi diverto a creare delle situazioni in cui di volta in volta faccio entrare gli elementi che mi servono per quella storia. Diciamo che le cose che io penso facciano girare questa palla di mondo, sono quelle che io racconto : l’ambizione, l’amore, il sesso, il danaro, l’arte. La magia è come un residuo del mondo arcaico che, però, tutti noi ci portiamo dietro. Tutte quelle monomanie che si hanno, quelle piccoli o grandi superstizioni, sono ‘magia’. La magia di cui parlo è più inquietante, è quella di cui parla Freud. E’ normale che queste sono tutte cose ci arrivano da lontanissimo ma che ci sovrastano nei momenti di crisi. Insomma, se vediamo dei numeri uno si inizia a preoccupare… quella è la magia.

Quando parliamo di magia, superstizioni e soprannaturale non possiamo fare a meno di nominare una dei protagonisti principali dell’ultimo romanzo: la medium Eusapia Palladino. La veggente  avrà ruolo fondamentale nel “dettare” il romanzo di Galliano e della prorompente Finizia, sua compagna di scrittura. Poiché il racconto parla (anche) di scrittori, sorge la domanda spontanea di chiedere a Cappelli se anche lui nella stesura di un romanzo, fosse mai stato da qualche “spirito”... 
Beh quando bevevo, in quanto a spirito, ero molto spiritato! Al di là delle battute… L’ispirazione non è una cosa banale. L’ispirazione è una sorta di voce guida. Se uno dà un occhiata ai taccuini su cui uno appunta la prima idea di romanzo, quella è l’ispirazione. Il talento è un dono , senza scomodare nessuna entità celeste. Sicuramente c’è una ispirazione che trascende il momento individuale. É come se tu sentissi una o più voci che ti fanno andare avanti; come se tu sentissi una brezza che all’inizio può darti fastidio ma ti attrae. Alla fine ci entri dentro e quando ci sei, ti senti come trasportato da questo flusso. E’ una sensazione un po’ onirica.

Volente o nolente, abbiamo anticipato già molto del suo ultimo romanzo “Una medium, due bovary e il mistero di Bocca di Lupo” (Marsilio, 2016). Poiché l’attività dello scrittore è in continuo movimento, chiedo a Cappelli se ha in serbo qualche sorpresa per noi e se ci può svelare qualcosa in anteprima…
Adesso sto lavorando a un libro che si intitola “ Le intermittenze del Cool” , mi risponde l'autore “ovvero le oscillazioni del gusto  e la loro ricaduta nella nostra vita reale. Racconto di cose che una volta ci infastidivano o che allontanavamo inorriditi ma che oggi, invece, vengono rivalutate. Sono diventate “cool”. Tutto questo lo scrivo attraverso piccoli saggi e racconti. 
Ho rubato la locuzione “ Le intermittenze del cuore “ a Proust. Ho sostituito “cuore” a “cool” giocando sulla parola (si pronuncia Cul… chi vuol intendere, bene intenda). Questo è un libro in cui raccoglierò i pezzi che reputo più divertenti e intelligenti su questo argomento, scritti di anno in anno sul Corriere della Sera, su Panorama, il Messaggero e il Mattino e sui vari magazine che hanno ospitato i miei racconti. Anche su Facebook. Ci sono pezzi scritti solo su Facebook. Diciamo che questo è quello che comporrà il prossimo libro.

La piacevole e divertente chiacchierata con Gaetano, termina con tre domande cruciali che riprendono l’argomento principale: conoscere meglio l’autore. Mi sovviene porre quesiti semplici ma importanti, per capire appieno il carattere e l’intimità profonda di un autore che veste di cultura e avanguardia se stesso e, di riflesso, i suoi lettori.

Se fossi un romanzo, quale ti piacerebbe essere? E se fossi un film e un genere musicale?
Se fossi un romanzo mi piacerebbe essere un romanzo divertente. Mi piacerebbe essere la versione di Barney di  Mordecai Richler. Se fossi un film sicuramente Barry Lindon, di Stanley Kubrick, ma solo per il fatto che è il mio film preferito. Se fossi un genere musicale preferirei essere una musica di quelle di Harold Budd (ricordiamo che ha collaborato con il compositore Brian Eno, su cui Cappelli ha scritto "Brian Eno, il suo doppio, le musiche possibili” nel 1982) . Anche se, ammetto, questi miei romanzi sono lontani dalla musica che mi sento di essere.


Con queste tre ultime risposte Cappelli, ancora una volta, non risulta mai banale. Il colpo di scena sta proprio nel non essere sempre ciò che si scrive. La capacità di un autore di talento è quella di saper spaziare, oltre se stesso. Il mondo è una scatola aperta da cui gli autori hanno sempre attinto per ottenere la massima conoscenza e donarla. Tanto di cappello a Cappelli (mi si conceda il gioco di parole) che non smette mai di stupirci e non riesce proprio ad annoiarci. La sua carriera e il suo carisma sono come l’Aglianico: maturando, migliorano.

giovedì 26 ottobre 2017

Rodolfo Valentino, il poeta inesplorato



Il divo di Castellaneta nella inedita versione di poeta



rodolfo_valentino_poesieOcchi magnetici, corpo snello e agile, quella bocca e quel sorriso malizioso, così incantevoli e sensuali, furono la vera chiave del successo di Rodolfo Guglielmi, in arte Rodolfo Valentino. Ed è triste, molto triste, fosse riconosciuto solo per quello il bel divo italiano, nato a Castellaneta e poi approdato a far fortuna in America, nel mondo del cinema di inizio secolo.
Ma era solo bello, Rodolfo? 
Rudy, diceva: “ Le donne non sono innamorate di me, bensì dell’immagine che hanno di me. Sono solo la tela su cui dipingono i loro sogni”. In effetti, aveva ragione. 
Il cinema fu davvero precursore di ciò che oggi riscontriamo nella virtualità: divenuti tutti divi da social, ci infatuiamo facilmente dell’immagine che vediamo, ma non ne percepiamo i veri pregi, difetti, odori, debolezze, fragilità. Non percepiamo ciò che c’è dietro lo schermo-tela. E così il cinema ha funzionato per l’estetica e la sua gestualità. Ha funzionato per Rodolfo che, partito dall’Italia in condizioni modeste, finì a fare il ballerino e poi l’attore. Dapprima interpretando  “mascalzoni latini” e successivamente ottenendo parti più significative, che lo fecero conoscere a livello mondiale. 
Per far parte del mondo dello spettacolo occorre essere belli e lui fu talmente bello e affascinante, da far sì che il suo nome diventasse sinonimo di sex symbol. Non aveva doti attoriali eccelse, ma aveva un insieme di caratteristiche che per il cinema funzionavano, ed erano assolutamente intriganti. Bucava lo schermo, riempiendo completamente la vista e i sensi di donne e uomini. Se la divina attrice Marlene Dietrich, esplose anche come icona femminile per ambo i sessi, Valentino ne fu precursore e come Marylin Monroe, fu riconosciuto prettamente per il sex appeal. Tuttavia oggi, forse per una necessità di revisionismo su certi personaggi, possiamo ribaltare alcuni stereotipi. 
Essere “bello” si paga a caro prezzo e ben presto Rodolfo divenne famoso per questa sorta di epiteto, che caro gli costò e coprì anche le sue doti più sensibili, quelle poetiche, calpestate dal successo e nate dal dolore, dalla nostalgia, dalla passione e dalle delusioni. Infatti, non tutti sanno che il noto attore era anche un poeta e le sue opere sono raccolte nel libro “Sogni ad occhi aperti” (Newton Compton, 2006), che ha permesso di ridimensionare il bello, lasciando più spazio al mistero delle sue percezioni interiori. Sebbene non abbiano grande rilievo letterario, le poesie di Rodolfo Valentino sono impregnate di romanticismo, un tocco di filosofia ed esoterismo. Ed è egli stesso ad ammettere che non è “né poeta, né amante del sapere”, preferendosi abbandonare alla natura e ai sogni, che placavano il suo male e la sua infelicità. Le sue poesie creavano un ponte Ideale tra l’Italia e l’America, ove poteva transitare facilmente con l’immaginazione, come e quando voleva, da un continente all’altro. 
 Essere divo si paga a caro prezzo, soprattutto quando invidie, scandali e critiche negative alle proprie espressioni artistiche, riducono la figura della sola estetica alla modesta condizione da cui si era partiti. Se per alcuni non aveva particolari doti attoriali, ricordiamo tuttavia che fu capace di unire la letteratura al cinema, interpretando e producendo opere tratte da Balzac e Dumas figlio. 
Valentino conosceva bene la letteratura - nonostante non si definisse ‘detentore del sapere’ - si intuisce conoscesse una serie di simboli e atteggiamenti letterari, che lo  hanno classificato come “poeta”. La presenza di alcuni elementi nelle sue poesie, come l’arazzo, legato alla simbologia esoterica ed essoterica, cioè ciò che non si conosce e ciò che si conosce; l’aver inserito l’elemento del Tempo, tradotto così in Italiano che, però, nella versione inglese originale è “Old father Time”. Tale locuzione è ampiamente citata in campo artistico, intesa come una figura antropomorfa di un uomo alato con falce e clessidra, identificato altresì come Saturno, strettamente collegato all’occultismo, alla morte e al male. Da qui si intuisce ci sia un filo che collega tutti gli altri simboli inseriti nelle poesie: la rosa, il calice, agli déi, il colore rubino che possiamo associare alla pietra filosofale, sino all’Amore che -come in tutta la letteratura illuminata- non è solo il rapporto con la persona amata, ma assume una sorta di cammino iniziatico. Senza approfondire troppo questo argomento complesso e tortuoso, tutte le poesie sono apparentemente ingenue, spontanee, delicate, pregne di malinconia e sentimento. 

rodolfo_valentino_hollywood
Nella poesia “Italia (a Caruso)”, Valentino ritrova il Sole della sua Italia come porto sicuro delle proprie fragilità. “Gratitudine” è dedicata a  madre natura, nella quale si legge quanto un piccolo seme piantato nel terreno sappia molto di più che tutta la conoscenza dei libri.
Ricordiamone anche i tocchi filosofici, infatti, verrà altresì toccato, en passant, il tema della completezza e ritorno all’unità originaria, rappresentato con una romantica passeggiata sulla spiaggia di due persone, con le loro “impronte di sangue”, anch’esse legato al sacrifico e dunque sempre legato al culto di quell’ ”Old Father Time”, tanto crudele ma sempre in agguato: “Ogni passo rimaneva sulla sabbia e ogni impronta sapevano che si trattava di sangue. Ognuno che voglia essere Due, non può che guardare le ombre già impresse nella Materia passata, per le prossime”, così scriveva Rudy.
L’originalità di Rodolfo si esprime nella poesia “Caleidoscopio dell’Amore”, nella quale fa corrispondere, verticalmente, ad ogni lettera dell’alfabeto, sinonimi e contrari, creando così magicamente una sorta poesia, come il caleidoscopio crea magia negli occhi di chi lo guarda. 
In “Berretto a Sonagli”, una delle poesie più significative, Valentino descrive la vita come una commedia in maschera. Poiché mi piace ricercare significati nei simboli e ne sono affascinata, il titolo riporta il poeta al suono caotico dei sonagli salentini - caotico come il rumore della vita- e al tratto distintivo degli emarginati e dei buffoni di corte, spesso esclusi dalla società borghese ed elitaria. 
Insomma, le espressioni poetiche di Rodolfo sono tante, sono piacevoli, sono piene di elementi visivi importanti, che ci trasportano con lui nei suoi “sogni ad occhi aperti”. Ma per avere una più precisa e autorevole opinione su alcune delle poesie di Rudy, abbiamo intervistato lo scrittore saggista lucano, Giuseppe Lupo:

Giuseppe Lupo, cosa ne pensa delle poesie di Rodolfo Valentino? 
Le poesie di Rodolfo Valentino sono di un autore-attore che ha letto D’Annunzio: il tema della sensualità, la fusione con la natura, l’amore, la donna, è puro dannunzianesimo. Come del resto è influenzato notevolmente da Pirandello. In Berretto a Sonagli si percepisce il tema delle maschere, della commedia, del fingere, tipica caratteristica pirandelliana.

La raccolta delle poesie si intitola “Sogni a occhi aperti”. Quanto conta il sogno nella poesia?
Tutta la letteratura non può esimersi dal sogno. Non significa che non debba rispettare la realtà, ma ha una notevole propensione verso il discorso del sogno. All’epoca, soprattutto questi autori dannunziani, cercavano elementi verso quella prospettiva onirica. Non è l’alternativa alla realtà ma è proprio una questione di moda e all’epoca il sogno andava di moda. Nel caso di Valentino è espresso in modo romantico. Suppongo che, alla presenza di questi testi, già esista il personaggio “Rodolfo Valentino”. Sognare, per Valentino, significa fingere di credere in un mondo in cui lui stesso è già immerso.

Valentino non è stato mai considerato come un grande attore ma più come un sex -symbol. Ora lo scopriamo anche poeta. Italo Calvino diceva  “La poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere.” Secondo Lei, Valentino ci è riuscito a far entrare il mare nel bicchiere?
Non vorrei deludere i lettori ma Valentino non è un grande poeta. Le sue poesie sono esercizi poetici di una persona che si diletta ma “il bicchiere” che intendeva Calvino appartiene ai poeti, non a Rodolfo Valentino. Sono francamente poesie con un linguaggio semplice, un po’ monotone e  non particolarmente convincenti.

Internet ha portato un proliferare di scrittori e soprattutto poeti. Se la poesia è libertà, allora sono tutti liberi di essere chiamati “poeti “?
É il discorso del bicchiere. Non tutti sono capaci a riempire il bicchiere con il mare e con mare si intende tutto, non solo i sogni. 
Tutti sono liberi di scrivere poesie, ma c’è una bella differenza con i veri poeti. Le poesie devono avere dei requisiti poetici. Scrivere una poesia vera e  scrivere la lista della spesa, sono due cose differenti . Oggi come oggi, Internet è un proliferare di poeti e scrittori. Tutti possono scrivere ma per essere scrittori e poeti, bisogna avere determinati requisiti e rispettare determinate regole.

Secondo Giuseppe Lupo occorre più precisione e rigore per tornare a capire il significato dell’Arte, evitando di confonderla con l’improvvisazione. Infatti, Lupo è stato categorico e  illuminante su questo, anche per la spinosa questione nel Nobel a Dylan. Essere rigorosi spesso crea nemici, in questa epoca di artisti e creativi. Se si rispettano le categorie e la vera Arte, il legame e l’idillio fra noi e gli autori, tornerà ad essere quello di una volta. Non è una questione elitaria. Se continuiamo a mischiare le cose e i mestieri, non potremmo godere neanche più dei sogni e non potremmo più bramare a “diventare qualcuno” o migliorare le nostre attitudini, perché rischiamo di confonderci con tutti e confondere tutto.
Sebbene anche io sia stata presa dal “sogno ad occhi aperti” di far emergere un Rodolfo Valentino poeta, addirittura esoterico, è necessario davvero rimettere le categorie al loro posto. Come Valentino non potrà mai essere considerato come un grande poeta, anche noi non potremmo mai essere veri e propri sex-symbol, come fu lui. 

“A ciascuno il suo”: così avrebbe concluso, simpaticamente, il grande Sciascia.

Alcune poesie, sia in italiano che in inglese, di Rodolfo Valentino:

Il caleidoscopio dell'amore 
di Rodolfo Valentino

Sinonimi e contrari 
A-Adorazione-Anticipazione-Affinità-Attrito. 
B-Bellezza-Beatitudine:-Batticuore-Barriere. 
C-Carezze-Circostanze-Confidenze-Carisma. 
D-Desiderio-Delusione-Distrazione-Divorzio. 
E-Estasi-Empatia-Ego-Estremo. 
F-Fascinazione-Fantasia-Fervore-Fede. 
G-Gossip-Gratitudine-Generosità-Goodbye. 
H-Gloria-Galanteria-Gara-Grida. 
I-Intuizione-Ironia-Idolatria-Integrità. 
J-Gelosia-Gioia-Giustizia- June. 
K -Cura-Costanza-Conoscenza-Catarsi. 
L-Labbra-Lontananza-Logica-Languore. 
M-Matrimonio-Moralità-Moneta-Maschio. 
N-No-Nesso-Novità-Niente. 
O-Opposizione-Orgoglio-Offerta-Opulenza. 
P-Passione-Promessa-Pienezza-Proposta. 
Q-Qualità-Questua-Quesiti-Questioni. 
R - Romanzo-Rapimento-Realizzazione-Ricordo. 
S -Simpatia-Sacrificio-Sofferenza-Sistemazione. 
T - Teorie-Tesi-Temperamento- Timidezza. 
U-Irriverenza-Intesa-Incertezza-Infedeltà. 
V-Virtù- Volontà- Voti-Vendetta. 
W-Verità- Velleità- Vincoli- Venereo 
X-L'Ignoto-L'Amore. 
Y-Gioventù-Gusto- Yes-Gravezza. 
Z-Zenith-Zenzero-Zelo-Zero.


The Kaleidoscope oJ Love 
Synonyms and Antynoms 
A-Adoration-Anticipation-Affinity-Arguments. 
B-Beauty-Bliss-Bittemess-Bondage. 
C-Caresses-Circumstances-Confidences-Charm. 
D-Desire-Delusion-Dreams-Divorce. 
E-Ecstasy':"'Engagement-Ego-End. 
F-Fascination-Forgetfulness-Flattery-Faith. 
G-Gossip-Gratitude-Gift-Goodbye. 
H-Happiness-Honour-Heartache-Hell. 
I-Intuition-Irony-Idolatry-Integrity. 
J-Jealousy-Joy-Justice-June. 
K -Kisses-Keepsakes-Knowledge-Kismet. 
L-Lips-Loneliness-Logic-Longing. 
M-Marriage-Morality-Money-Man. 
N-No-Nearest-Novelty-Never. 
O-Opposition-Own-Offering-Opulence. 
P-Passion-Promise-Pride-Proposal. 
Q-Quality-Quest-Queries-Quarrels. 
R-Romance-Reveries-Realization-Remembrance. 
S-Sympathy-Sacrifice-Shame-Settlement. 
T - Thoughts- Truth- Temper- Tears. 
U-Unkindess-Understanding-Uncertainty 
- Unfaithfulness. 
V - Virtue- Vanity- Vows- Vengeance. 
W - Wisdom-Wishes-Wedlock-Woman. 
X- The Unknown-Love. 
Y - Youth- Yeaming- Yes- Yawn. 
Z-Zenith-Zest-Zeal-Zero.



Il saggio


O Fierezza che risplendi
Nello sguardo dei ragazzi,
Continua a credere nel bene,
Nel valore e nella verità.
Perché molto presto,
Troppo presto 
La luce più fiera incontra il dubbio,
E vacilla, trema, solo un po',
Ma non si spegne.

O Tristezza che affiori
Dagli occhi degli anziani,
Continua a credere nel bene,
Sii saggia  -con i giovani.
Perché molto presto,
Troppo presto,
La luce più triste nel dubbio,
Vacilla, trema, vacilla
E infine si spegne.
.
The Sage

O Gladness shining bravely
From out the eyes of youth,
Be strong in your belief of good,
Of valorand of truth.
For soon enough,
Too soon enough -
The gladdest light meets doubt,
Then flickers, flutters, just a bit,
But,dpesn't quite go out.

O Sadness peering divinely
From out yhe eyes of age,
Be strong in your belief of good.
To youth -stilI be the sage.
For soon enough,
Too soon enough,
The saddest light in doubt,
Flickers, flutters, flickers,
And finally goes out.



Berretto a sonagli

Sono molti i travestimenti nella commedia della Vita:
C'è un uomo vestito da ricco,
Che indossa oro a milioni,
Ma è povero, mi dicono,
Non ha un soldo di salute.

Poi c'è il mendicante, vestito di stracci,
Con la maschera della Miseria.
E assai convincente,
Ma è ricco nel cuore,
Più ricco dell'oro di Creso.


I costumi sono travestimenti diversi
Che celano l'uomo al di sotto
Si indossano maschere per abitudine,
Prestate dai libri
E complce una corona d'alloro.

Un altro si finge pagliaccio,
Col trucco da vero Buffone,
Ma la sua conoscenza
È ben superiore
A quella di un fine dottore.

E altri mille ne trovi nel Varietà della. Vita
Che praticano l'arte del mimo.
Ridono e scherzano
Col senno dell' oggi
Ma non riusciranno a ingannare il Tempo.

Cap and Bells

In Life's masquerade the disguises afe many:
Here's a man masquerading as Wealth,
Wears a million of gold,
But a pauper, l'm told,
He hasn't a penny of health.

Here comes a Beggar, in tatters and rags,
Masking Poverty old.
He may lookthe part,
But the weaIth ìn bis heart,
Makes him richer than Croesus in gold.

The costumes afe varied disguises beguiling
That cover the true man beneath
One wears learned looks,
That he's borrowed from books
And a co-operative laureI wreath.

And stilI another pretending a clown,
.In make-up the silliest Fool,
But bis knowledge ofmen,
Is beyond the ken
Of a sage of the orthodox school.

There afe millions of others in Life's Motley
Masque

Who follow' the art of mime.
They mimic and play'
At mockery today
But they never fool Old Father Time.



Italia
(a Caruso)

La terra è terra - questa è la sua stima,
Per gli uomini che la calpestano.
Ma per l'anima che tende alla sua mèta,
La terra è tutto ciò che conta.
C'è chi la chiama Casa, chi Cuore,
chi Ricchezza,
Ma colui che ama il sole
La chiama Italia.

Italy
(To Caruso)
The earth is earth - that is its worth,
To men who walk below.
But to the soul that seeks its goal,
Each land is alI they know.
One calls it Home, another Heart,
another Property,
But to the one who loves the sun
He calls it Italy.



Sospetto

Ha incrociato il sentiero
Del mio sogno di te
Una sottile reticola grigia,
Così tenue il suo riflesso,
Quasi invisibile
Pure ha ostruito
Il mio Cammino

Come freddo bastione di puro granito
Mi ha intrappolato, 
Ché un acciao cridele,
Era nel filo
Della serica tela del dubbio


Sogni ad occhi aperti
(all’amico o all’amica)

Ieri - In contemplazione
Sognavamo del futuro amore
E nel sognare
Tessemmo un’arazzo d’Amore

Oggi - Sogniamo il nostro sogno da svegli;
La realizzazione,
colora la nostra storia
Con tutta la gloria
Di una fulgida rosa.

Domani - Che risveglio ci aspetta:
Il nostro arazzo
Forse a brandelli,
O coronato – glorificato
Dalla luce dell’amore?
Io mi domando

Tu

I tuoi occhi
I tuoi occhi,
Golfi mistici
Di luce divina.
Castano dorato
Il colore
Fondi,
Ma puri, come ambra.

Liberi
Da ombre,
Insondabili,
In cui
I miei sensi
Annegano.

I tuoi occhi.

Le tue labbra

Le tue labbra,
Di seta petali gemelli
Di umida rosa.
Altare
Del cuore
Ove amore
Il suo infuocato desiderio
Celebra indisturbato.
Crogiolo
Di
Passione.
Una rosa mascherata.

Le tue labbra.

Il tuo bacio
Il tuo Bacio
Una fiamma
Del Fuoco della Passione
Il dolce sigillo
D'Amore
Nel desiderio,
Nella fragranza
Della tua Carezza;
Ahimè
A volte
Trovo
Squisita amarezza
Nel
Tuo Bacio.

Giovanni Passannante: il rivoluzionario lucano che tentò di liberare l’Italia


Ulderico Pesce, attore teatrale lucano, ci racconta la sua lotta per seppellire dignitosamente il cranio e il  cervello di Giovanni Passannante, riportandolo nella sua terra.



«Se questi sono i malfattori, evviva i malfattori!» Giovanni Pascoli

Passannante l’anarchico, Passannante il delinquente, Passannante il matto. Ma chi era Giovanni Passannante? Era un uomo, un eroe, un martire. Era un repubblicano con idee mazziniane. All’urlo di«Viva Orsini! Viva la Repubblica Universale!», cercò di afferrare i diritti dell’uomo, quei diritti calpestati dal regime monarchico di Umberto I, dal potere che prendeva il sopravvento e che riuscì ad elevarsi quasi a Dio, decidendo le sorti di un popolo e i vantaggi di alcune classi dirigenti e politiche, ancora oggi.
Giovanni Passannante nacque a Salvia, il 19 Febbraio 1849, in provincia di Potenza, un nome così semplice, come i suoi abitanti. Il nome “Salvia” venne ben presto cambiato in Savoia di Lucania per ordine del Re, sicuramente più dignitoso da pronunciare, ma non cambiò lo status del popolo. La Basilicata, all’epoca, era la regione più arretrata de sud, definita dal poeta Giovanni Pascoli, l’”Affrica” italiana. Il poeta, infatti, si recò in Basilicata e lì, si unì alle idee dei rivoluzionari che non sopportavano più la miseria del loro popolo e chiedevano diritti uguali per tutti, come avevano quelli “al nord”. Pascoli dedicò un’ode al Passannante, di cui abbiamo solo uno stralcio di essa: “Col berretto d'un cuoco faremo una bandiera”, scriveva il poeta e, tale ode, gli costò ben quattro mesi di galera. A Passannante, invece, andò molto peggio, a causa di un gesto di disperazione, nei confronti del Re. Comprò un coltellino di quattro centimetri, barattandolo con la sua giacchetta da cuoco e, con questo, ferì il re durante una manifestazione, senza ucciderlo. Passannante fu il secondo anarchico a compiere un gesto di rivolta, anticipando quelli di Pietro Acciarito e quello definitivo, di Gaetano Bresci. 

Giovanni Passannante



La storia di Giovanni Passannante è triste e terribile. Grazie soprattutto a Ulderico Pesce, attore teatrale lucano, attivo da sempre per il sociale e per i diritti dell’uomo, possiamo conoscere le nostre radici e possiamo ricordarci di chi si è battuto davvero per la nostra libertà, sacrificandosi. Insieme ad Ulderico anche altri artisti coinvolti, come Gino Paoli, Carmen Consoli, Il gruppo folk rock Tete de Boîs, Paola Turci, Fausto Leali, Peter Gomez, Dario Fo e Franca Rame.
“Mi piace fare cose che mi coinvolgano dal punto di vista emotivo”,  dice Ulderico, “mi piace fare cose che mi facciano sentire vivo e mi occupo di storie che mi coinvolgano emotivamente e che mi rendano felice. Pertanto, la storia di Passannante, mi ha dato tanto dolore quanta tanta gioia nel vedere compiuta giustizia per lui.  Passannante è una figura delicata. Se avesse voluto uccidere il re avrebbe usato una pistola. Il suo è stato un gesto per attrarre attenzione sulle problematiche del sud. Nel 1861 ci fu l’Unità di’Italia, solo che il regno si occupò prevalentemente allo sviluppo del nord e non del sud. Dopo cento anni  ancora si era a punto a capo. E, oggi, a distanza di centocinquanta anni, ci troviamo ancora davanti a un’Italia divisa in due.”
Ulderico è stato il primo a interessarsi a questa storia e a combattere un sistema e una burocrazia lunga, e un po’ superficiale, per far conoscere Passannante e  dargli una degna sepoltura nella sua terra. Tutta la sua battaglia è testimoniata attraverso l’arte, con il film “Passannante” (2010) , del regista Sergio Colabona, nominato dal Ministero della Cultura, come “Film per la scuola” ai David di Donatello (anche se, in realtà, è un film che dovrebbero guardare molto più gli adulti).
Il film è rimasto nel circuito scolastico per almeno due anni. Inoltre, Ulderico, porta questa storia nella sua “casa”, a Teatro. 
Alla mia domanda su quanto coinvolgimento c’è stato da parte degli attori e alla mia domanda sulla differenza di approccio e comprensione del pubblico, fra cinema e teatro, Ulderico mi risponde: “Durante le riprese del film, tutti gli attori del film erano molto coinvolti . Hanno lavorato al minimo sindacale di paga e alcuni gratuitamente. Tutto il cast, sia tecnico che artistico, è partito da una prospettiva: portare Passannante alla sepoltura e rendergli  giustizia per chi ha combattuto per i più deboli  e nel contempo restituire il nome Salvia al posto di Savoia di Lucania, insieme al gruppo minoritario che da tempo si batte per riportare quel nome al suo posto. Il cinema rende una testimonianza più reale dei posti dove sono accaduti i fatti. Il pubblico esce più informato con le immagini chiare e nitide nella testa e negli occhi, ma ne esce meno coinvolto rispetto al teatro. Sono i codici che sono diversi fra cinema e teatro. Il teatro, sicuramente, riesce a coinvolgere maggiormente dal punto di vista emotivo” .  Detto ciò, è bene guardare tutti e due i codici, per avere una panoramica maggiore su questa storia, così affascinante, così brutale e con un lieto fine.

Ma andiamo per ordine, per chi non fosse a conoscenza della storia…

Passannante visse in totale povertà, fino a che non trovò impieghi modesti. Su di lui prese il sopravvento la voglia di imparare a leggere e scrivere e questa grande volontà, definita “natura energica” - che poi  si tradusse nel “terribile” gesto- lo portò anche a convertirsi al culto evangelico, abbandonando ogni forma di esteriorità e superficialità. Forse fu questa la sua grande colpa, che lo condusse dapprima in carcere per questioni politiche e, successivamente, a compiere il famoso gesto nei confronti di Re Umberto I, costringendolo alle torture più atroci. Fu incarcerato e, dopo le torture subite da parte delle forze dell’ordine, fu trasferito nella Torre della Linguella, a Portoferraio,  sull’isola d’Elba , trattato in condizioni a dir poco disumane. 
film_giovanni_passannante
Grazie alla vera pietà dell’onorevole Agostino Bertani - e non la finta pietà monarchica che lo risparmiò dalla gogna, solo per fargliela pagare più amaramente - e grazie alla denuncia della giornalista Anna Maria Mazzoni, fu portato via da lì. Dichiarato folle, lo condussero nello stesso manicomio di Montelupo Fiorentino, ove fu rinchiusa anche la famiglia del Passannante.La “giustizia” monarchica era compiuta. Morì il 14 Febbraio 1910. Ma la cosa più terrificante, è ancora da spiegare.
Quando l’’anarchico’ spirò a Montelupo Fiorentino, infierirono ancora, per volere dello studioso Cesare Lombroso e di un sistema squallido: gli tagliarono la testa, per analizzarla. Così, Passannante, con il corpo sepolto nella terra di Montelupo, si ritrovò cranio e cervello nelle mani di Lombroso, il quale classificava la follia e la delinquenza di un uomo, in base alla fossetta occipitale, secondo un ‘classismo estetico’.
Questo atteggiamento è riscontrabile tutt’ora nella nostra società, anche se in forma più ipocrita. 
Pongo, dunque, l’ultima domanda a Ulderico e chiedo conferma su questo aspetto cruciale: “Lombroso è un medico che anticipa le leggi razziali.” dice Ulderico.”Le teorie lombrosiane sono del 1936 e le leggi razziali del 1938. Entrambe partono dal presupposto che gli uomini o  per determinate origine etnica o per conformazione del cranio, siano delinquenti, folli e inferiori . Per fortuna, la scienza esatta ha rinnegato queste teorie . L’uomo nasce uguale dappertutto è poi la cultura che lo rende in un modo o in un altro. É l’ambiente circostante che lo rende diverso. Fatto sta che  il cranio di Passannante è stato esposto al Museo del Crimine  di Roma , come un’attrazione turistica, a causa della sua fossetta occipitale  interna. Secondo Lombroso chiunque avesse avuto questa fossetta, era un delinquente. Noi siamo riusciti a toglierlo dal Museo del Crimine, riuscendo a seppellire un uomo che attendeva una degna sepoltura. Oggi, purtroppo, buona parte dell’Italia è lombrosiana. L’essere umano con certi connotati è considerato un essere inferiore, da cacciare. Mi riferisco ai connotati degli africani, indiani, siriani, pakistani, da tutti color che scappano da guerre e torture e noi ‘italiani lombrosiani ‘facciamo di tutto per cacciarli, temerli e non capirli.
Anche per questo è stato difficile e duro riportare Passannante al suo posto e lo è tutt’ora. In Italia non esiste cittadinanza attiva. Il popolo italiano è un popolo che non esiste, esiste solo per i novanta minuti delle partite. Il popolo italiano non c’è. Ognuno di noi si allieta di tifare per una squadra ma non per la vita altrui. Siamo individuali. I valori e gli ideali non esistono più, la memoria non esiste più e la memoria è da costruire. Perché l’Italia sia un paese unito e avanzato culturalmente, occorre uno sforzo da parte nostra per comprendere accettare il “diverso” da noi e uno sforzo da parte di chi accogliamo, a rispettare le regole della nostra terra. Solo così possiamo essere un paese davvero forte economicamente, spiritualmente e culturalmente.”


passannante sergio colabona
locandina "Passannante"
Il termine Salvia deriva dal latino "salus" o "salveo" che significa "star bene , “sano” o “salvare”.
Alla luce dell’etimologia di questo bellissimo nome, ci auguriamo la richiesta di far tornare il nome originario di “Salvia” al posto di Savoia di Lucania, sia presa realmente in considerazione dai ‘piani alti' e che, Ulderico, eroe del nostro eroe, riesca anche in questo. L’Italia è una Repubblica Democratica, la cui sovranità appartiene al popolo. Così recita, in parte, il primo Articolo della nostra Costituzione. Facciamo in modo che essa lo sia, attraverso piccoli gesti che ci liberino definitivamente da quell’ombra oscura di dominio, che da anni ci opprime e da cui ne siamo tutt’ora dipendenti.
In Basilicata, si dice che tutte le storie inizino con un patto. Sarebbe utile fare e mantenere il patto di diventare un paese forte e unito spiritualmente, economicamente e culturalmente. Come? Ricordando le nostre origini e i nostri diritti, mantenendo viva la memoria di chi ha combattuto per noi, per renderci liberi. Non occorre una guerra per ricostruire. Occorre , tuttavia, qualche altro Passannante che, senza ferire, attui una forte rivoluzione culturale, perché è da lì che si cambia il mondo, non solo l’Italia. In questo, Ulderico ed altri artisti, tentano da sempre di farlo: tentano di salvarci.






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